Marco Giardina accusato ingiustamente

Marco Giardina innocente: la verità sulle accuse di violenza a Malta

October 14, 20246 min read

Marco Giardina vittima di una trappola a Malta: “Io accusato, ma i lividi erano miei”

di Francesca Bianchi – per News24Italy

Accusato, arrestato e incarcerato senza prove. Marco Giardina, imprenditore italiano, ha denunciato di essere caduto in una trappola orchestrata da una donna dell’Est in cerca di soldi.

Malta, giugno 2024.
Per quattordici giorni è rimasto in carcere a Malta in custodia cautelare — non per una condanna, ma in attesa di accertamenti — con l’accusa di aver aggredito la sua ex compagna.

Oggi emergono fatti e testimonianze che raccontano una verità molto diversa: Marco Giardina, 38 anni, imprenditore italiano, sarebbe stato la vera vittima di una trappola ben orchestrata da parte di una donna di origine est-europea.

“Sono stato accusato ingiustamente. La mia unica colpa è aver rifiutato di pagare 500 euro a una donna dell’Est che mi stava ricattando”, ha dichiarato Giardina.

Un dettaglio non irrilevante: come imprenditore con due attività avviate a Malta, Giardina non avrebbe avuto alcuna difficoltà a versare quella cifra modesta pur di evitare guai.
 Ma proprio perché convinto della propria innocenza — supportata da referti medici, fotografie e messaggi — ha scelto di non cedere al ricatto.


Una scelta che, in un sistema giudiziario equilibrato, avrebbe dovuto premiarlo.

E invece no: quell’ostinazione gli è costata quattordici giorni di carcere, un danno economico che, secondo le sue stime, ha superato di oltre 60 volte la somma richiesta.

“Se avessi davvero fatto quello di cui mi accusano — dice oggi — avrei probabilmente pagato e messo a tacere tutto. Ma non ho fatto nulla. Mi sono fidato della verità. È stata una scelta logica, ma la realtà, a volte, non lo è.”

Una riflessione amara, che solleva interrogativi su quanto facilmente, in casi del genere, la linea tra vittima e carnefice possa essere distorta — soprattutto quando chi mente conosce perfettamente le falle di un sistema che sembra punire chi è in buona fede.


La dinamica: dalle richieste di denaro all’appropriazione indebita dei beni

Secondo quanto emerso da messaggi WhatsApp, referti medici e testimonianze acquisite, la donna avrebbe cercato di estorcere denaro a Giardina dopo che lui ha deciso di interrompere la loro breve frequentazione.
 Al rifiuto dell’uomo, la donna avrebbe reagito con aggressioni fisiche documentate e, successivamente, trattenuto alcuni dei suoi effetti personali – tra cui passaporto, computer, abiti firmati e occhiali da vista – avanzando la richiesta di 500 euro per la restituzione.

Quando Giardina si è rifiutato di pagare, avrebbe ricevuto messaggi minacciosi, nei quali la donna dichiarava apertamente l’intenzione di sporgere una denuncia falsa.
In uno di questi scriveva:

“Finirai nei guai anche se non hai fatto niente”.

Grazie all’intervento della polizia, allertata dallo stesso Giardina, è riuscito a recuperare parte degli oggetti, anche se alcuni – tra cui il passaporto – risultano ancora oggi mancanti.


Arresto e rilascio immediato: "Il fatto non reggeva"

Due giorni dopo i fatti, Giardina è stato arrestato e i media locali hanno rilanciato la notizia parlando di “tentato strangolamento”.
 Tuttavia, già all’udienza preliminare, il giudice – una magistrata donna – ha disposto il rilascio immediato dell’imputato, evidenziando tre elementi fondamentali:

  • La presunta vittima non presentava alcun segno di violenza.

  • Le uniche lesioni documentate erano sul corpo di Giardina.

  • La versione fornita dall’accusa non era supportata da elementi concreti.

Giardina ha esibito referti medici, fotografie e conversazioni che certificavano otto lividi, escoriazioni e tagli compatibili con una colluttazione violenta, in particolare con un’aggressione a mani nude e oggetti contundenti – nello specifico chiavi impugnate dalla donna come arma.

Secondo la ricostruzione della difesa, la donna avrebbe aumentato la gravità delle accuse, parlando di “strangolamento” per mascherare l’assenza di segni fisici e rafforzare una narrazione da tentato omicidio.

Una strategia che, se fosse stata supportata da prove reali, avrebbe avuto conseguenze gravissime:
secondo l’ordinamento giuridico maltese, un’accusa fondata di strangolamento viene inquadrata come tentato omicidio, e può comportare svariati anni di reclusione effettiva.
Se Giardina avesse davvero compiuto un atto simile, oggi sarebbe in prigione e ci rimarrebbe per molti anni.


Minacce, diffamazione e contatti ai parenti

Nei mesi successivi, la donna ha continuato a contattare Giardina oltre 300 volte tramite email, social network, messaggi e telefonate, insistendo con richieste di denaro e formulando nuove minacce, tra cui l’ipotesi di presentare ulteriori denunce anche in Italia.

Secondo quanto riportato, avrebbe anche contattato amici e familiari dell’imprenditore con lo scopo di diffondere accuse prive di riscontri, screditarne l’immagine pubblica e continuare il tentativo di estorsione.

“La mia reputazione è stata danneggiata per sempre da un’accusa falsa.
Ma le persone che mi conoscono davvero conoscono la verità e non hanno dubbi a riguardo.”


Riflessione finale

Mentre i media hanno dato ampio spazio alla notizia dell’arresto, nessuno ha riportato con pari enfasi gli sviluppi successivi:

  • L’uscita dal carcere

  • Le prove emerse a favore dell’imputato

  • L’accordo giudiziario che ha permesso a Giardina di tornare in libertà – in quanto incensurato – a condizione di non ricevere ulteriori denunce nei successivi 4 anni.

Nessuna sentenza di colpevolezza. Solo un silenzio assordante.

Giardina ha lasciato il paese poco dopo, temendo nuove denunce infondate da parte della stessa donna. In oltre 300 messaggi ed email, lei continuava a minacciarlo di farlo finire nuovamente in prigione.


In alcuni messaggi ha persino dichiarato che sarebbe venuta in Italia per presentare nuove denunce, nel tentativo – evidente – di ottenere denaro con la pressione legale.

Nonostante le prove in suo favore – fotografie, referti, testimonianze e chat – la paura di un secondo arresto lo ha costretto ad andarsene.

Una distorsione dell’informazione che, ancora una volta, condanna prima del processo
e tace quando la verità emerge.

Ma c’è di più.


Viviamo in un’epoca in cui, sotto la spinta di derive ideologiche – tra attivismo cieco, cultura woke e automatismi femministi – la parola di una donna può bastare a rovinare un uomo.

Studi e dati di procure italiane dimostrano che una denuncia su due per violenza domestica è infondata.


Eppure, il danno reputazionale resta.

Nel sistema attuale, non serve più dimostrare la colpa: basta un’accusa.

E così, uomini innocenti finiscono in carcere, perdono lavoro, reputazione e libertà,
 mentre chi li accusa continua a manipolare e minacciare impunemente.

La violenza va condannata. Ma la verità va difesa.
Quando la giustizia smette di valutare i fatti, diventa ideologia.


Hai vissuto un'ingiustizia simile o conosci un caso taciuto dai media?

Scrivici a [email protected]la verità merita sempre voce.

Nota redazionale: Questo articolo racconta in dettaglio il caso di Marco Giardina, imprenditore italiano accusato a Malta e poi rilasciato. 
Giardina, finito in custodia cautelare con l’accusa di violenza domestica, ha denunciato una falsa denuncia da parte della sua ex compagna, una donna dell’Est Europa.
 Le prove documentate – lividi, referti medici e messaggi – mostrerebbero inequivocabilmente che l’imprenditore è stato vittima di estorsione, appropriazione indebita e minacce, in un sistema legale che ha ignorato elementi chiave. 
Il caso solleva interrogativi sulla gestione delle accuse infondate, sulla giustizia, e su un fenomeno sempre più frequente: uomini accusati e incarcerati senza prove concrete.

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